lunedì 9 aprile 2012

Zanzibar, Prigioniera del suo Passato

Zanzibar è un luogo dalle mille sfaccettature che a lungo in passato ha ricoperto un ruolo centrale nella storia. Oggi Zanzibar è conosciuta soprattutto come paradiso delle vacanze, un nome che tutti conoscono solamente perché visto campeggiare sulle vetrine delle agenzie turistiche. Tuttavia oggi, come in passato, essa rappresenta molto di più di questo.
Una doverosa premessa si impone per inquadrare geograficamente Zanzibar: Zanzibar è un arcipelago formato da oltre quaranta isole; le più grandi sono Pemba e Unguja. Quest’ultima è quella che viene universalmente definita come l’isola di Zanzibar. Zanzibar non è più nazione autonoma dal 1964, quando unendosi al Tanganyka entrò a far parte della Repubblica Unita di Tanzania.
Zanzibar è la terra d’origine della lingua Swahili, lingua commerciale nata tra il 1000 ed il 1500 come fusione delle lingue araba, persiana e bantu. Quando si trattò, dopo l’indipendenza della Tanzania, di scegliere il dialetto più adatto per rappresentare la nuova lingua dello stato fu scelto il Kiunguja, cioè lo swahili parlato a Zanzibar.
Il periodo glorioso di Zanzibar inizia nel 1840, quando il sultano dell’Oman Said trasferisce la capitale del proprio regno da Muscat a Zanzibar. Questa decisione fu presa perché l’isola presentava terreni fertili, aveva un buon porto e acqua potabile. Said introdusse la coltivazione dei chiodi di garofano, ed il terreno si dimostrò talmente adatto da permettergli di conquistare il monopolio mondiale di questa coltura.
Said strinse accordi commerciali con americani ed europei e sull’isola vennero a stabilirsi aziende mercantili e corpi diplomatici. In breve tempo Zanzibar divenne anche il principale mercato di schiavi ed avorio di tutta l’Africa orientale. I due commerci erano intimamente collegati perché a provvedere al trasporto dell’avorio erano gli stessi schiavi provenienti dall’Africa centrale. L’isola visse una spettacolare fioritura, diventando una sorta di Singapore del commercio afro-asiatico, abitata da una popolazione mista composta da arabi, africani, indiani ed europei.
In questi anni l’interesse degli europei, in particolare di Inghilterra e Germania, cresce proporzionalmente all’importanza economica dell’arcipelago fino a che, nel 1890, le due potenze si accordano e Zanzibar diventa formalmente protettorato britannico.
Nel 1856, anno di arrivo di Burton e Speke a Zanzibar, iniziano le grandi esplorazioni alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Negli anni successivi arrivarono con lo stesso scopo anche Livingstone e Stanley. Durante il periodo delle grandi esplorazioni dell’Africa centrale e orientale, Zanzibar era la porta del continente, il luogo dove assoldare portatori e acquistare viveri e attrezzature per il lungo e difficile viaggio. Tramontata l’era del commercio delle spezie e trasferita la supremazia commerciale al porto di Dar es Salaam, questo arcipelago perde gradualmente di importanza diventando come oggi si presenta ai turisti, e cioè una terra povera di risorse e vagamente in declino.
Le sue coste rimangono meravigliose, ma tutte le principali attrazioni turistiche si identificano nel ricordo del perduto splendore: dai pochi lembi di foresta primaria rimasta agli edifici omaniti e arabi ormai abbandonati. L’antica capitale Stone Town, che per la sua architettura potrebbe tranquillamente essere una città araba, è patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO eppure non sembra che ciò la stia salvando dal degrado.
Lo sfruttamento turistico delle isole, che poteva rappresentare un’occasione di rilancio economico per tutta la popolazione, di fatto si è tradotto in un’epoca di neo-colonialismo, con la costruzione di villaggi turistici di proprietà dei grandi gruppi del settore dove i turisti vengono reclusi e separati dalla gente di Zanzibar. La dimostrazione è che ogni anno arrivano a Zanzibar quasi 150.000 turisti (di cui un terzo italiani), soprattutto nei periodi Luglio-Agosto e Dicembre-Gennaio, eppure, anche nei momenti di massimo afflusso, girando per le stradine di Stone Town se ne vedono pochissimi.
Una settimana all’anno però Zanzibar si sveglia dal suo torpore e diventa nuovamente il centro della cultura africana. E’ la settimana di “Sauti za Busara” (le voci della saggezza), uno dei due principali eventi musicali di tutta l’Africa. In questi giorni è possibile ascoltare la musica taarab zanzibarina, nata dalla commistione di tutte le culture che sono passate da qui nel corso dei secoli.
Considerare Zanzibar come un luogo dove rilassarsi al mare è terribilmente riduttivo; i muri di Stone Town, gli antichi palazzi omaniti, i luoghi dove venivano nascosti gli schiavi dopo l’abolizione della schiavitù e le vecchie farm dove venivano coltivate le spezie per l’esportazione sono luoghi che trasudano storia, prosperità e atrocità, ricchezza e declino.

M.L.

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